Consigli per il fumatore che sta smettendo

nofumo


Sintomi d'astinenza

Si definisce "Craving" il desiderio, la necessita impellente di fumare. A volte chi cerca di smettere di fumare avverte la sensazione di non poter superare i momenti in cui il "craving" si presenta.
Bisogna sapere che:

  • Il desiderio impellente di sigaretta dura solo pochi minuti,circa 5, dopo diventa nettamente inferiore.
  • Bere un bicchiere d'acqua a piccoli sorsi, lentamente, tenendo |`acqua in bocca per un attimo prima di deglutire aiuta a "spegnere" il desiderio.
  • Distrarsi nel modo che più piace fa superare questo momento.

Situazioni in cui si può manifestarsi il craving:

  • La mattina al risveglio o dopo il caffè.
  • Alla fine dei pasti (lavarsi i denti immediatamente dopo il pasto riduce molto il desiderio di fumare).
  • Al telefono
  • In automobile (fondamentale è che in auto non ci siano "ricordi di fumo": pacchetti di sigarette, accendini, odore di fumo, etc.)
  • Con gli amici (se è possibile, frequentare amici che non fumano, almeno nei primi tempi).

Nervosismo, frustrazione, rabbia

Basta fare alcuni respiri profondi. Una passeggiata, una chiacchierata con un amico, un bagno rilassante sono espedienti che possono essere usati per ridurre la tensione.

Difficoltà a concentrarsi

Questa situazione è solo momentanea, basta sapere ciò e rilassarsi.

Insonnia

Si consiglia di evitare di bere il caffè dopo cena e di ridurre il consumo di bevande ricche di caffeina come the e coca cola. Un bicchiere di latte caldo prima di coricarsi può essere rilassante.
Anche un incremento della attività fisica aiuta a prendere sonno più facilmente.

Aumento di peso
L'aumento di peso e una preoccupazione molto frequente per chi decide di smettere di fumare soprattutto nelle donne: a volte è il più importante dei motivi per cui si ritorna a fumare.
L`aumento di peso, quasi inevitabile, non e superiore ai due o tre chili e comunque non tutti ingrassano.
Non e necessario seguire una dieta rigida, che soprattutto nelle prime settimane sarebbe troppo difficile da sostenere, è importante cambiare gradatamente le proprie abitudini alimentari.
Si consiglia di:

  • Mangiare con tranquillità, lentamente. Il senso di sazietà insorge dopo 15 minuti.
  • Preferire ai dolciumi, alcol e cibi ricchi di grassi (non necessari ai fini nutrizionali) frutta e verdura fresche. Preferire ai fritti i cibi alla griglia o bolliti.
  • Consumare caramelle e gomme senza zucchero e bere molto acqua.
  • Consumare cibi o basso contenuto colorico, come latte scremato, alimenti a basso contenuto di zuccheri.
  • Praticare una anche minima attività fisica: salire le scale a piedi, andare in bicicletta, scendere dal mezzo di trasporto urbano una fermata prima, parcheggiare lo macchina un po' più lontano del solito in modo da camminare almeno 30 minuti al giorno a passo svelto.

Stitichezza

Il disturbo è superabile bevendo molta acqua e mangiando cibi ricchi di fibre: frutta, verdura, alimenti integrali.

Questi consigli sono stati tratti dalle Linee guida cliniche per promuovere la cessazione dell'abitudine al fumo (2008), a cura dell'Istituto Superiore di Sanità.

 

“Un anno vissuto pericolosamente: non è il titolo di un film, ma la cronaca di 12 mesi passati nelle mani della sanità inglese, una giostra impazzita dove ci si gioca la vita.


Tutto comincia nel febbraio dell’anno scorso. Avevo già sofferto di attacchi di diverticolite a Milano, ma me l’ero cavata con antibiotici orali: adesso però i dolori sono forti, è sera e non c’è la possibilità di chiamare un medico. Questo perché a Londra non c’è un dottore di base che ti ha in carico: si è assegnati a un centro sanitario pubblico e ogni volta ci si ritrova davanti un medico diverso, in una girandola dove nessuno conosce te e la tua storia clinica (mesi fa i giornali hanno «scoperto» che magari avendo un dottore unico si ridurrebbero tante morti in eccesso, ma questa è un’altra storia).
Non significa che non esiste più il GP (General Practitioner), solo che non ne hai uno tuo, ce ne sono tanti che fanno capo al tuo centro sanitario pubblico e ogni volta ti vede un medico differente.
In questi centri territoriali ci si va su appuntamento, ma riuscire ad averne uno è un’impresa e dunque tutti vanno agli Accident&Emergency (A&E) degli ospedali, cioè i Pronto Soccorso, anche per le cose banali, perché è l’unico modo di farsi vedere da un medico (e per questo gli A&E sono un girone dantesco). Il più vicino a me è il Royal Free Hospital di Hampstead: è famoso, è quello dove hanno somministrato i primi vaccini anti-Covid, quando Londra ha battuto tutti sul tempo. Possiamo quindi sperare bene, forse.
La prima cosa che fanno, dopo che si viene accettati in un ospedale inglese, è infilarti una cannula nel braccio: nel caso in cui si debbano somministrare medicinali, spiegano. A prescindere da quello che tu possa avere: quindi si finisce in sala d’attesa, per ore e ore, con un ago in vena, che comincia a far male.

Quando finalmente riesco a fare gli esami (sangue, Tac), decidono per il ricovero: diverticolite acuta, ho bisogno di antibiotici per endovena, sentenziano. Problema: non c’è posto in reparto, e allora mi sistemano su una barella nel Pronto Soccorso. E lì passo la prima notte, ovviamente senza chiudere occhio: attorno a me il caotico subbuglio del servizio di emergenza, luci accese, conversazioni concitate, pazienti che gemono.
Ma mi è andata bene: nei Pronto Soccorso inglesi le attese anche di 12 ore sono ormai la norma, con esiti catastrofici. È calcolato che questo ingorgo è la causa di almeno 14 mila (!) decessi all’anno: come hanno denunciato poche settimane fa le associazioni degli infermieri, ormai la gente muore nei corridoi del Pronto Soccorso, dopo una vana attesa.
È solo l’indomani che finalmente mi trasferiscono in un reparto. E qui cominciano le scoperte. Innanzitutto, gli ospedali inglesi sono interamente gestiti dagli infermieri: i medici sono un miraggio, si affacciano solo una volta al giorno per pochi secondi, poi spariscono. In secondo luogo, non c’è un inglese a pagarlo a peso d’oro: infermieri e dottori vengono dai quattro angoli del mondo, tranne che dall’Inghilterra. In sostanza, si è ricoverati in un ospedale «in Inghilterra», ma non in un ospedale «inglese». Non è questione di essere xenofobi, o peggio razzisti, ma anche i giornali locali hanno evidenziato che non c’è una reale verifica delle qualifiche, ottenute all’estero, di tutto questo personale sanitario: quindi si è nelle mani di dottori e infermieri che Dio sa dove e come si sono formati.
Ma le sorprese non sono finite. La prima giornata passa senza che nessun dottore mi visiti: le terapie continuano, somministrate dalle infermiere, ma dottori zero. La seconda mattinata è lo stesso: e allora mi insospettisco. Esco in corridoio, scorgo un medico con un codazzo, li blocco e chiedo spiegazioni: controllano su un computer e la risposta è «si sono dimenticati di registrarti, nessuno sapeva che eri qui». Andiamo bene! E se al posto mio ci fosse stato un anziano poco presente a stesso? Sarebbe rimasto abbandonato per settimane?
A ogni modo, dopo tre giorni mi dimettono. Ma purtroppo, lo stesso problema si ripresenta a luglio: e dunque torno al Royal Free, dove mi ricoverano di nuovo, dopo esattamente la stessa trafila, inclusa la prima notte su una barella. Ma stavolta succede di peggio: al terzo giorno di degenza l’infermiera mi attacca la flebo di antidolorifici, ma niente antibiotici. Chiedo spiegazioni e mi risponde che non ha istruzioni di somministrare antibiotici: e allora qui che ci sto a fare, dico io? Finita la flebo esco in corridoio e interrogo la caposala: non sa nulla, dice che deve chiedere a un dottore. Dopo un po’ arriva il responso: c’è stato un errore, mi avevano sospeso la terapia per sbaglio! Di nuovo: se al posto mio c’era un anziano un po’ svanito?
Me la cavo anche questa volta, ma a gennaio sto di nuovo male, sintomi diversi, sembra una cosa più seria. È pomeriggio e riesco a parlare a telefono con una dottoressa del centro medico pubblico: no, non fanno visite a domicilio, mi spiega, posso andare lì da loro, se sono in grado, ma comunque non fanno neppure gli esami del sangue.
Non resta che il Pronto Soccorso: ma stavolta sono un po’ spaventato, e dopo le esperienze sconcertanti al Royal Free decido di andare in un ospedale privato. L’accoglienza è rapida ed efficiente, fanno tutti gli esami del caso (anche troppi), scoprono un’infezione diffusa e decidono per il ricovero. Il posto ovviamente è confortevole, stanza privata con tutti i servizi, ma anche qui, sorprendentemente, non ci sono praticamente inglesi (lo specialista che mi ha in carico è cinese) e tutto è gestito dagli infermieri. Ma lo choc maggiore è al momento della dimissione: per quattro giorni di degenza, senza nessun intervento particolare, solo test e terapie antibiotiche, il conto è di oltre 10 mila euro. E meno male che non si trattava di una delle cliniche del centro, quelle dove vanno i reali, se no bisognava accendere un mutuo.
Insomma, a Londra si è fra Scilla e Cariddi: una sanità pubblica che cade a pezzi e una privata che costa un occhio della testa. Quando avevo chiesto a una collega che sta qui da 25 anni come si regolasse, mi aveva risposto: «Io prego»! Seguirò il consiglio.
Gli inglesi forse non credono in Dio, ma sicuramente credono nell’Nhs (National Health Service, ossia il Servizio sanitario nazionale): in un Paese largamente post-cristiano, la venerazione per la sanità pubblica è assurta al ruolo di religione di Stato. Creato nel 1948 per volere del governo laburista di Clement Attlee, l’NHS è parte dell’identità collettiva britannica come la birra tiepida e il fish&chips: il principio di cure universali, pubbliche e gratuite resta un dogma intangibile (e irriformabile). Solo gli inglesi potevano mettere la celebrazione della Sanità al centro della cerimonia di inaugurazione delle Olimpiadi del 2012 a Londra, con tanto di pazienti (finti) che ballavano sui letti. E durante la pandemia, in pieno lockdown, una volta alla settimana, alle 8 di sera, l’intera popolazione si affacciava sull’uscio di casa per tributare un corale applauso a medici e infermieri impegnati contro il Covid. Dio salvi l’Nhs.”


Fonte : Corriere della Sera

Test di Amsler: un semplice screening che può salvarvi la vista


Cosa è il Test di Amsler?
Si tratta di un test molto semplice che possiamo fare tranquillamente a casa in qualsiasi momento. Lo scopo del test è individuare il più precocemente possibile la METAMORFOPSIA che è il sintomo più tipico e precoce della degenerazione maculare. Per metamorfopsia intendiamo la deformazione, ondulazione, distorsione di tutto ciò che è dritto (righe, stipiti delle porte, gradini). Di solito si avverte meglio durante la lettura per cu il paziente percepisce le righe del giornale distorte, ondulate o spezzate. Purtroppo questo sintomo non sempre viene notato precocemente perchè spesso il paziente non si accorge del disturbo fino a quando non si copre l'occhio sano.

Come si esegue il test di Amsler?
- se necessario indossare gli occhiali per leggere
- coprire con il palmo della mano l'occhio sinistro
- guardare la griglia del test sullo schermo alla normale distanza di lettura (o in alternativa stamparla e tenerla in mano alla normale distanza di lettura)
- fissare con l'occhio destro il punto al centro della griglia
- fare attenzione se si osservano le righe deformate, distorte, spezzate; oppure se è presente una macchia scura
- ripetere la stessa procedura per l'altro occhio

Chi dovrebbe eseguire il Test di Amsler?
In linea di massima tutte le persone che sono a rischio di sviluppare la degenerazione maculare e quindi:
- le persone di età superiore ai 50 anni
- i miopi elevati
- le persone che abbiano avuto già un occhio colpito dalla malattia
- le persone alle quali sono state riscontrate durante una visita oculistica di routine dei particolari fattori di rischio come la presenza di drusen (in particolari molli) presenti sulla retina. Le drusen sono degli accumuli color giallo che si depositano sotto la retina e sono l'espressione della difficoltà a smaltire le sostanze di scarto.

Come si presenta il test di Amsler?
Il test di Amsler è costituito da un foglio a quadretti con sfondo nero e righe bianche delle dimensioni di 10X10 cm contenente 400 quadratini. 0ggi il test viene proposto invece su un foglio bianco con righe nere.

Cosa dovo fare se vedo l'immagine alterata?
In caso di visione alterata dell'immagine è indicato un controllo oculistico.

 

RICHIESTA DI RINNOVO RICETTE PER TERAPIE CRONICHE:

PER EVITARE IL SOVRACCARICO DELLE LINEE TELEFONICHE DAL 07/03/22 LA RIPETIZIONE DI RICETTE DOVRA' USARE SOPRATTUTTO CONALI DIVERSI DA QUELLO TELEFONICO. POTETE FARE LE VOSTRE RICHIESTE:

1) TRAMITE IL PORTALE ATLAS

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3) LASCIANDO NELLE CASSETTE DELLA POSTA DELLO STUDIO LA RICHIESTA CARTACEA

4) SE NON POSSIBILE IN ALTRO MODO TRAMITE ACCESSO ALLA SEGRETERIA